E allora ti spaparapanzo il capitolo +_+
1
Camminava già da alcune ore. Era stanca ma si concedeva solo poche pause, a tenerla sveglia ci pensavano gli svariati rovi che trovava sul cammino; arrivò in una radura, era assetata ma non aveva più molta acqua con sé. Si mise le mani sui fianchi per decidere cosa fare, di ruscelli neanche l’ombra, senza scoraggiarsi infilò una mano nella sacca e ne estrasse un libro di modeste dimensioni e volume. Si tolse i guanti e cominciò a sfogliare il tomo, era un antico libro di magie che trattava soprattutto sul controllo degli elementi, più qualche altra magia utile alla sopravivenza come magie curative e di mimetizzazione.
Tastò il terreno con le mani in cerca di un punto abbastanza umido dove poter compiere la magia, rilesse con attenzione una pagina del libro. Pose le mani aperte sopra il terreno, chiuse gli occhi e si concentrò; dopo qualche istante le mani crearono una luce azzurrina e il terreno si aprì facendo uscire dell’acqua, come se fosse una fontana. Tirò fuori dalla sacca una borraccia e la riempì fino all’orlo, poi, con un’altra piccola magia, fece ritornare tutto come prima “Ben fatto Safira”.
Ripose la borraccia e il libro nella sacca. Quel libro lo aveva trovato a fianco a se, insieme a tutto ciò che ora possedeva e si portava appresso, al suo risveglio dopo il Disastro; oltre a quegli oggetti le era anche comparsa la cicatrice che all’inizio pensava fosse dovuta a una ferita che aveva riportato nella caduta, ma dopo qualche tempo e dopo la consultazione di qualche libro capì che la cosa era più complicata di quanto immaginasse. Le piacevano le cicatrici, quella aveva una forma che ricordava vagamente una croce, sarebbe stata la sua preferita tra tutte quelle che aveva se solo non fosse la causa di tutti i suoi problemi.
Col tempo aveva però iniziato a vivere in pace con se stessa, accettarsi per quello che era e faceva del suo meglio per controllarsi e non nuocere niente e nessuno con cui venisse a contatto. Non tutto però le era chiaro. Aveva ricordi della sua infanzia, ma alcuni molto confusi, faceva sempre lo stesso sogno di quando era bambina e ignorava chi o cosa le avesse dato la spada, i vestiti, il libro e tutto il resto.
Teneva sempre la mente occupata con questi pensieri, non perché le piacessero, ma perché non sapeva a cosa altro pensare. Dal suo risveglio era sempre stata da sola quindi ricordare il passato era l’unica cosa che poteva fare.
Immersa in questi pensieri aveva percorso un notevole pezzo di strada e si stava facendo sera. Preferiva viaggiare di giorno e riposarsi la sera, si sentiva più sicura. Decise di fare ancora un po’ di strada, in modo da poter giungere il giorno dopo a Jaghd, una delle principali città della Regione della Terra. Senza preavviso arrivò al limitare del bosco nel quale si era inoltrata e si ritrovò alle porte di un villaggio. Non era grandissimo, quelle che dovevano essere le mura ormai erano solo un mucchio di legno e pietre...Era stato completamente raso al suolo. Le case, i negozi, le locande...ormai non c’erano più, quelle che per miracolo erano rimaste in piedi sarebbero in ogni caso crollate da un momento all’altro.
Safira però noto subito che nell’aria era impregnata, anche se molto lievemente, di un terribile odore di zolfo; la insospettì per il semplice fatto che il villaggio Deria – aveva scoperto il nome da un’insegna parzialmente bruciata – aveva l’impressione di essere stato distrutto molto tempo prima del suo arrivo...Ma l’odore di zolfo doveva già essere sparito se fosse stato davvero così, quello che la insospettì più di tutto però era che quell’odore lo aveva già sentito, non ricordava dove e come ma ne era sicura, e sapeva che non era semplice zolfo: se si faceva attenzione si poteva percepire un misto di zolfo e putrido...un odore che molti paragonerebbero solo che all’inferno.
Decise di ignorare questo particolare e di esplorare il villaggio per cercare un riparo ed eventualmente qualcosa di utile da portare con se. Entrò in quella che doveva essere stata una drogheria, trovò del cibo ormai avariato ma rovistando in varie scatole e contenitori fece rifornimento di carne secca, erbe mediche e veleni “Potranno sempre tornarmi utili...tanto non credo che qui servano a qualcuno”. Scorse una piccola porta semi distrutta che portava sul retro, pensando di poter trovare ancora qualcosa da poter portare via, la sfondò del tutto e fece un balzo indietro scorgendo sul pavimento un cadavere: alto quasi metà porta e maschio...le uniche cose che poteva affermare con certezza siccome il corpo –come tutto il resto- era carbonizzato. Un nano, sapeva che in negozi di veleni e medicamenti era facile trovarli come proprietari... L’odore che emanava quel posto ora non era dei migliori, decise quindi di non proseguire oltre e di uscire con quello che aveva trovato.
Alla fine di una via trovò una stalla, si aspettava di tutto meno che sentire il nitrito di un cavallo. Accorse verso l’interno della stalla e vi trovò un cavallo nero immerso in una pozza di sangue. Come faceva ad essere ancora vivo? Forse il villaggio non era stato attaccato tanto tempo prima come aveva supposto...il che era più strano e più logico allo stesso tempo. Ma non era il momento per certe domande, ora doveva fare il possibile per salvare l’animale.
Aveva una ferita al ventre, non molto profonda, ma abbastanza larga da causare una modesta perdita di sangue; si ricordò delle erbe mediche che aveva preso poco prima, fece una rapida consultazione del suo libro dopodiché ne applicò qualcuna sulla ferita, dopo averla opportunamente lavorata.
Il cavallo prese a dimenarsi, doveva bruciare parecchio, Safira cercò di calmarlo come poteva ma l’animale non ne voleva sapere tanto che cercò di colpirla con un calcio, nello schivare la zampa del cavallo le si tolse il cappuccio che non toglieva mai –anche se si trovava da sola- il suo sguardo incrociò quello del cavallo che come per magia si acquietò. Safira rimase sorpresa, lo fissò ancora per qualche secondo e poi si rimise su di lui e la sua ferita.; scorse un incisione sul legno della scuderia “ANTARES”...doveva chiamarsi così il cavallo.
- Antares - ripeté lei e con maggiore sorpresa l’animale rispose con un nitrito, rimase a contemplare la ferita pensando a cosa sarebbe stato meglio fare “Questa ferita non guarirà nemmeno con tutte le erbe di questo mondo...dovrò usare la magia...” l’idea la spaventava poiché a differenza della Magia Elementare, quella Bianca veniva attuata su esseri viventi e lei conosceva solo la teoria perché di pratica non ne aveva mai fatta. “Se non lo fai morirà comunque...quindi tanto vale provare” era l’unica possibile salvezza per Antares. Si tolse i guanti e, come per la magia dell’acqua, posizionò le mani aperte a circa un centimetro dalla ferita, chiuse gli occhi, si concentrò e questa volta si creò una luce bianca; l’operazione durò svariati minuti ma alla fine la ferita era completamente rimarginata.
Era fradicia di sudore, non era mai stata così tanto in tensione e sotto pressione; Antares dal canto suo era ancora a terra, temeva il peggio nonostante non ci fosse più la ferita perché sapeva che non sempre le magie funzionano, ma dopo aver visto il ventre del cavallo alzarsi e abbassarsi regolarmente si rasserenò.
Si concesse una breve riposata e quando riaprì gli occhi Antares era ancora lì, in piedi che la fissava. Lei si alzò abbozzando un piccolo sorriso e si avvicinò a lui poggiando una mano – aveva premurosamente indossato i guanti appena conclusa la magia- sul muso dell’animale e lo accarezzò.
Safira fece per rimettersi il cappuccio ma il cavallo glielo impedì tirandoglielo indietro, lei rimase un po’ sorpresa ma alla fine cedette al volere di Antares - Hai ragione, dopotutto nessuno mi può vedere siccome qui ci siamo solo io e te...- stettero qualche momento a fissarsi l’un l’altra, poi il cavallo si girò e uscì dalla stalla dirigendosi verso un grande albero poco distante dalle mura del villaggio, Safira decise di seguirlo.
Camminava per le viottole del paese guardando sempre dritta davanti a sè quando sentì di aver calciato qualcosa con un piede, non era un sasso perché rimbalzando aveva prodotto il suono di qualcosa di metallico. Vide che poco distante da lei stava un piccolo oggetto, probabilmente ciò che aveva scontrato, si chinò per raccoglierlo e appena lo ebbe in mano le sembrò che il tempo si fermasse e che le forze le venissero a mancare, stava per cadere a terra e per potersi appoggiare con una mano l’oggetto le cadde di nuovo. Chiuse gli occhi e li riaprì subito dopo accompagnata da un leggero fiatone, le doleva la mano destra, girò il palmo verso di lei e con un misto di orrore e stupore vide che le era rimasta una cicatrice identica a quella che aveva sulla spalla solo più piccola e intorno a quella forma di croce bianca si era formato un leggero alone nero. Strappò un piccolo pezzo di stoffa dall’elsa della spada e raccolse l’oggetto. Come aveva intuito si trattava di una specie di ciondolo a forma di croce, una croce molto sottile e con le estremità uncinate che al centro custodiva un piccolo cristallo nero “Non si può trattare di una coincidenza...Non hai mai creduto nelle coincidenze Safira...La vita te lo ha insegnato...” . Senza fare ulteriore contemplazione dell’oggetto in questione lo ripiegò accuratamente nel pezzo di stoffa e ripose il ciondolo in un taschino del corpetto. Si rialzò da terra e si affrettò a raggiungere la collina con il grande albero, per un attimo non si era sentita al sicuro e, anche se era un cavallo, la compagnia di Antares la poteva rassicurare; odiava quelle situazioni in cui non aveva il controllo e la freddezza che le servivano...
Giunta sulla sommità si accorse di avere fatto un buon pezzo di strada e da lì si poteva vedere tutto il villaggio, sentì che Antares le stava tirando il mantello e quindi decise di voltarsi verso di lui per vedere il motivo di tanta insistenza. Vide il cavallo vicino al corpo di un bambino , a differenza degli altri pochi cadaveri in cui era incappata quello era in buonissimo stato: niente di bruciato, non eccessivamente sporco...Se non ci fosse stato quel paesaggio intorno si poteva dire che stesse dormendo anche perché non era pallido –come si addice a un cadavere- ma la pelle era ancora rosea e questo fece crollare definitivamente tutte le teorie di Safira “se lui è in queste condizioni... –pensò mentre si inginocchiava vicino al bambino- ...allora il villaggio è stato davvero distrutto da poco...non più di due giorni e da qualcuno di terribilmente potente...”. Con questi pensieri per la mente esaminava il corpo del bambino “non più di dieci anni...” passò le mani sul suo viso, era freddo, posizionò le dita poco sopra le sue labbra e sentì caldo...Non era possibile...- Come diavolo fa ad essere ancora vivo?!- come per smentire quello che aveva detto mise l’orecchio sopra la bocca del bambino e puntò gli occhi sul suo petto; era impercettibile ma il torace si alzava e abbassava lievemente, l’aria calda usciva come un soffio leggerissimo e prestando attenzione con la mano si potevano percepire degli impercettibili batti del cuore. Doveva fare qualcosa, almeno provare a salvarlo, non si sarebbe mai perdonata di averlo lasciato morire...L’unica cosa che la faceva desistere era il modo in cui lo doveva fare. “Il mio potere...non l’ho mai usato su nessuno ma so che l’unica speranza che ha questo bambino...come per Antares presto o tardi morirà comunque...peccato che non sappia nemmeno da dove cominciare...” Come se qualcuno l’avesse ascoltata, la cicatrice sulla mano cominciò a pulsare e in uno scattò si posizionò sul petto del ragazzo...tutto contro la volontà di Safira –Ma che diavolo...- poi avvertì di nuovo quella sensazione; sentiva le forze mancarle e la mano che le bruciava, era come se fosse attaccata al bambino e non si potesse più staccare. Era al limite della sopportazione ma prima che gli occhi le si chiudessero vide che la pelle del piccolo riacquistava colore e anche la sua mano lo stava facendo...solo che il colore in questione era il nero...Di colpo quel bruciore lancinante e quel misto di sensazioni che sentiva dentro di sé smisero, ma nonostante questo chiuse gli occhi e svenne a terra vicino al bambino e ad Antares che aveva assistito alla scena senza dare alcun segno di inquietudine o di spavento.
...– Mamma! Mamma!!!-... Aprì gli occhi di scatto... di nuovo quel sogno. Aveva altro a cui pensare ora: il dolore alla mano si era affievolito e dava solo un leggero fastidio, ma quello che le premeva di più era il bambino e della riuscita o meno del suo operato.
Si ricordava di essere svenuta al suo fianco, si tirò seduta e si volse alla sua sinistra...Non c’era più, e ora che ci faceva caso anche Antares era sparito.
Si massaggiò la tempia pulsante e si alzò in piedi, da quella collinetta si poteva vedere quasi per intero tutto il villaggio ma di Antares e del bambino neanche l’ombra; dietro di lei sentì avvicinarsi qualcuno e d’istinto mise la mano sull’elsa della spada che inavvertitamente fu pervasa da una specie di scossa e Safira se ne accorse, si girò di scatto senza però estrarre l’arma e così poté scorgere Antares con al suo fianco il bambino che le venivano incontro.
Mentre si avvicinavano studiò dettagliatamente il ragazzino: non più di dieci anni, capelli rossicci e ondulati che si intonavano perfettamente con le lentiggini e gli occhi marroni che rendevano quel viso ancora più dolce di quanto lo facessero i lineamenti. Fece qualche passo per raggiungerli quando si ricordò della mano, la fissò...Il piccolo alone nero in seguito all’utilizzo del suo potere si era ingrandito; nascose quella brutta verità infilando i guanti e decise anche di non raccontare dell’accaduto al bambino ma di inventare qualcosa.
Appena furono di fronte l’uno all’altra, per la timidezza il ragazzino si nascose dietro le gambe di un Antares tranquillo e pacato; non ci sapeva fare con le persone ma cercò di tranquillizzare il piccolo piegandosi sulle ginocchia per arrivare al suo livello gli porse la mano sinistra (non voleva rischiare che accadesse qualcosa di spiacevole porgendogli la destra) – Sono Safira e non intendo farti del male...Tu chi sei?- il bambino lì per lì non mosse un muscolo perché troppo intimidito, ma vedendo che Safira non accennava a togliersi da quella posizione si avvicinò paino piano e lentamente allungò la mano fino a toccare quella di lei – H...Hans.....Mi chiamo Hans-